Nella vita di un brand, presto o tardi, arriva il momento di fare un rebranding aziendale più o meno approfondito.
È un’attività molto più comune di quello che si pensa, che può toccare ambiti diversi della vita di un’azienda.
Il “ritocchino” può riguardare aspetti puramente visuali oppure arrivare al core del brand, modificando i valori, la comunicazione e l’operatività stessa.
Quindi cos’è davvero il rebranding?
È quella serie di attività messe in atto per modificare la percezione del brand da parte degli utenti.
Non parliamo solo della percezione stilistica ma anche di quella più profonda, quella che incide sulla preferenza del consumatore.
Detto ciò, qualsiasi operazione di rebranding aziendale va realizzata con una strategia ben precisa e solo dopo aver analizzato ed individuato un motivo valido.
Quindi per rispondere alla domanda “quando va fatto?”, potremmo rispondere: solo se i dati raccolti ci dicono che ne vale la pena.
Un rebranding può avvenire in qualsiasi momento della vita di un’impresa e a qualsiasi tipo di azienda, grande o piccola.
Statisticamente, i cambiamenti sono più frequenti quando il brand deve ancora trovare la sua identità, quindi all’inizio del suo cammino. Oppure, dopo un lungo periodo di crescita e stabilità, possono palesarsi delle occasioni o delle problematiche che li rendono necessari.
La questione è molto complessa e di certo non si può ridurre a qualche modifica grafica del logo aziendale (anche se qualcuno lo fa). Esistono vari modi di fare rebranding aziendale in base a obiettivi, necessità, strumenti e punti di partenza.
Rebranding come restyling
È quello più comune e frequente per aziende di tutti i tipi ma non è meno impegnativo e non va preso alla leggera.
Per farlo nel modo corretto andranno realizzate delle analisi e non basterà affidarsi al gusto estetico personale del titolare o del grafico. Non fatevelo fare da “ammiocuggino” che smanetta con Canva!
Questo tipo di rebranding è un ammodernamento dell’identità visiva, per restare al passo con i canoni “estetici” contemporanei.
Ad esempio da un po’ di anni c’è una tendenza ad un design pulito e flat, più digital friendly.
Moltissimi brand, dalla moda alla tecnologia fino al food, si sono adeguati semplificando i loro loghi e abbandonando la tridimensionalità.
Le trasformazioni grafiche possono essere lampanti o così impercettibili da passare quasi inosservate.
Burger King lo scorso anno ha rivelato la sua nuova identità grafica.
Logo, palette dei colori e font decisamente diversi dai precedenti, per veicolare un’idea di genuinità e freschezza degli ingredienti.
Uno “scherzetto” che sarà costato milioni al colosso del fast food se pensiamo anche all’allestimento di tutti i punti vendita.
Di sicuro questo restyling è il risultato di studio e lavoro di mesi, se non anni.
Invece Google ha avuto un prima e dopo meno dirompente. Ancora ricordiamo quando fu rilasciato l’aggiornamento del logo che vedete qui sotto. Quasi nessuno se ne era accorto!
Nonostante il lavoro, l’impegno monetario e di tempo profuso, capita anche che un’azienda si rimangi tutto quello che ha fatto.
Non sono pochi i casi in cui il rebranding visuale non incontra il favore del pubblico e quindi si fa marcia indietro, tornando alla versione precedente. Tolte le perdite irrecuperabili di budget, è un’operazione possibile, che non sconvolge particolarmente l’azienda.
Ma un management oculato di certo metterà in atto tutte le strategie possibili per evitare che accada una cosa del genere.
Un’impresa strutturata e con una visione chiara non segue le mode del momento ma analizza con attenzione le proprie necessità.
Esistono strumenti validissimi per capire il sentiment dei propri clienti e intercettare al meglio le loro richieste. Focus group, survey, social listening sono solo alcuni dei metodi che un’azienda ha per capire se è giunto il momento di fare un restyling.
Rebranding come riposizionamento
Qui non si tratta più di dare solo una rinfrescata all’immagine visiva del brand, ma parliamo di un cambiamento più profondo, che interessa aspetti come la mission, la vision, insomma i valori dell’azienda.
A seconda del livello di rebranding messo in atto si può anche arrivare a modifiche strutturali della catena di produzione, della logistica, dei rapporti con gli stakeholder.
L’obiettivo di un rebranding di questo tipo è quello di fare in modo che l’azienda sia vista in un modo differente rispetto a prima.
Quindi in qualche modo il brand andrà ad occupare un posto diverso nella mente del consumatore, riposizionandosi in una “nuova sede”.
Ovviamente nessuna impresa decide da un giorno all’altro di riposizionarsi sul mercato. L’esigenza nasce sempre dallo studio del mercato o del proprio target, da proiezioni sul lungo termine o opportunità di business.
Un rebranding aziendale così incisivo richiede necessariamente tempistiche più lunghe, analisi più approfondite, strumenti diversi e un’attenta pianificazione delle attività. Quali sono i motivi che danno impulso ad un’operazione di riposizionamento?
Target
Quasi tutte le aziende, attive da un buon numero di anni, ad un certo punto cercano di ampliare o modificare il loro bacino di utenti.
Il mercato cambia di continuo, così come le richieste e i gusti dei consumatori. Se un’impresa vuole continuare a prosperare deve sempre monitorare il suo target e cogliere i segnali che manda. Non solo!
L’emergere di un nuovo target potenziale, con una sensibilità diversa può spingere un’azienda a modificare la propria identità e il proprio tone of voice. Tutto ciò ha lo scopo di diventare attraente per questa nuova nicchia.
È proprio quello che sta facendo Motta ormai da qualche anno.
La comunicazione dell’azienda è diventata più irriverente e moderna, per strizzare l’occhio alle nuove famiglie italiane; quelle un po’ meno da fiaba e molto più reali. Quelle in cui i bambini non sembrano degli automi e non ci sono gli uccellini ad apparecchiare la tavola.
Evidentemente Motta si è resa conto che la routine familiare è molto diversa da come era 40 anni fa.
Naturalmente l’azienda sa che una comunicazione sprezzante le farà perdere quella parte di consumatori che insegue il sogno della famiglia “del mulino bianco”. E infatti Motta ha deciso di essere un brand diverso, con una identità diversa.
La scelta di Motta deriva sicuramente da uno studio di mercato che supporta la scelta fatta e le attività messe in atto per riposizionarsi. A distanza di tempo dall’inizio del rebranding aziendale dobbiamo ammettere che sicuramente l’azienda è più presente nella mente dei consumatori. Obiettivo centrato!
Se Motta è stata costretta ad abbandonare un po’ il vecchio target per il nuovo c’è chi ha gestito il riposizionamento in maniera diversa.
HUGO BOSS
Per rivolgersi al target della GENZ, giovane ed alto spendente, l’azienda ha deciso di creare un’identità parallela a quella tradizionale della maison. Ma era importante anche non perdere attrattiva da parte dei Millennials che rimangono un target importante in termini di acquisti.
L’azienda ha deciso di sdoppiarsi in due sotto-brand: BOSS, per la linea “classica” e HUGO, rivolto ai più giovani.
HUGO parte dalla realizzazione di una linea di abbigliamento fatti di capi streetwear, sportivi e sgargianti.
La campagna di lancio ha coinvolto volti noti dei social, soprattutto tiktokers. Ed è proprio TikTok il canale principale su cui sta viaggiando, con l’hashtag #HowDoYouHugo.
Per BOSS invece, si è scelto di non stravolgere l’identità del brand ma piuttosto di arricchirla di una nuova sfaccettatura. Non si rinnegano i valori dell’azienda ma si da maggiore risalto all’eleganza easy e non ingessata, caratteristica che il brand ha sempre avuto.
Da qui la campagna #BeYourOwnBoss, che coinvolge volti noti della moda, sportivi, cantanti e mega star del social.
Con questa strategia parallela, HUGO BOSS si apre ad un nuovo target, conservando in toto il posizionamento forte acquisito negli anni.
Rebranding aziendale per risollevare l’immagine
Il business, si sa, è pieno di trappole ed imprevisti e può succedere che un brand debba far fronte ad una crisi reputazionale.
A provocare il problema può essere un comportamento errato o poco chiaro dell’azienda, un incidente o un sentiment negativo che si è creato nel tempo. In questo caso un’operazione di riposizionamento è quasi obbligatoria e richiede sforzi mirati e prolungati sia all’interno che all’esterno dell’azienda.
Nike
Nike, negli anni ’90, è stata al centro di uno scandalo mondiale riguardo le sue politiche aziendali in materia di lavoro e fornitori.
Nel 1996 uscì un report scioccante su Life Magazine con immagini di un bambino pakistano 12enne intento a cucire un pallone.
Non è facile riprendersi da un colpo del genere e di certo Nike non intendeva chiudere bottega o cambiare nome e ricominciare da capo. L’unica soluzione era impegnarsi in un lungo e faticoso percorso di rebranding.
In questo caso partendo proprio dal riscrivere completamente le linee guida riguardo alle condizioni dei lavoratori impiegati nelle fabbriche che producono per Nike.
Non stiamo dicendo che ora Nike sia diventato un brand bello, bravo e cristallino ma almeno ha migliorato un bel po’ la sua responsabilità sociale.
Un lavoro di pr, comunicazione su vari media, prese di posizione ed iniziative volte a migliorare gradualmente la percezione del brand agli occhi dei consumatori.
McDonalds
Un’esperienza simile l’ha vissuta anche il colosso del fast food più famoso del mondo.
Nel 2004 uscì il docufilm “Super Size Me” che mise in luce gli effetti di una dieta basata sul consumo di cibi del McDonalds.
98 minuti di documentario che misero in seria difficoltà l’azienda che ha nutrito gli americani dagli anni ’40.
Ci furono dei contraccolpi anche sulle vendite dei menù, soprattutto quelli large.
McDonald lavora ancora oggi per scrollarsi di dosso questa immagine di venditore di grassi insalubri e zuccheri liberi.
Da anni propone un’offerta più “equilibrata” e ci tiene a comunicare la genuinità e qualità degli ingredienti.
Anche il logo, nel 2007, ha acquistato un “naturale sfondo verde”, che strizza l’occhio al mondo dell’ healthy & veggie food.
Nei punti vendita italiani addirittura troviamo dei panini limited edition con prodotti dop e docg, 100% made in Italy.
Barilla
Il colosso della pasta nato in Italia nel 1877 ha prosperato ed è stato leader di mercato nel nostro paese fino agli anni ’80.
Negli anni ’90 l’azienda ha spinto moltissimo sull’internazionalizzazione, tralasciando un po’ la madre patria.
Ha cominciato ad emergere, senza che l’azienda facesse nulla di male, una percezione secondo cui il marchio non era più italiano e aveva abbassato la qualità dei suoi prodotti.
Per rimediare a questa “frattura” con il pubblico italiano (che quando parla di pasta, non scherza mai), circa 10 anni fa Barilla ha avviato un processo di ri-italianizzazione. Un riposizionamento che ha coinvolto prima di tutto i coltivatori di grano italiani ed ovviamente tutta la comunicazione del brand.
Spot, social, sito e packaging orientati a mettere in luce la provenienza delle materie prime e la loro lavorazione artigianale.
Il tradizionale packaging blu scuro è stato affiancato da quello azzurro con la scritta “100% grano italiano” e da quello rosso che riporta la dicitura “trafilata al bronzo”. Due slogan che gridano italianità e qualità.
Rebranding aziendale per estensione
Alcune volte un’operazione di rebranding prende il via in seguito all’individuazione di un’opportunità allettante di business.
Ad esempio quando un’azienda, che produce un certo prodotto, si rende conto di poter espandere facilmente la sua offerta e allargare il suo bacino di utenti. Se pensate che basti avere le capacità produttive e le risorse tecniche per avere successo nell’estensione non è così. La brand reputation è altrettanto importante e deve essere coerente con il nuovo prodotto/servizio offerto.
Per ottenere questo risultato ci sono strade differenti
Cambiare il bias
Un’azienda che è sul mercato già da anni ha necessariamente costruito una reputazione che potrebbe non essere “giusta” per entrare in un nuovo mercato o rivolgersi a un nuovo target. È un rebranding aziendale complesso da realizzare poiché non è facile far cambiare idea alle persone. Sopratutto se il bias è estremamente radicato.
Negli ultimi mesi Golia, marchio che tutti noi conosciamo come produttore di caramelle, si sta buttando nel settore degli integratori. Ma, dopo aver cariato i nostri denti per anni (LOL), è davvero difficile immaginarlo come un brand attento alla salute e al benessere.
Il settore degli integratori è in una fase esplosiva, ma buttarsi in un mare pieno di competitors senza avere costruito un minimo di credibilità è davvero dura. In bocca al lupo, Golia!
Non sappiamo quanti l’hanno notato, ma anche Eni Gas&Luce di recente si è data un bel ritocchino, diventando Eni Plenitude.
Un’operazione annunciata già l’anno scorso volta ad allontanarsi dall’immaginario del petrolio e del gas per avvicinarsi a quello delle fonti energetiche sostenibili. E così il famoso cane a 6 zampe da nero diventa verde ed invece di sputare fiamme è baciato dal sole.
Pur sentendo la necessità di un rebranding aziendale, Eni non ha voluto rinunciare completamente alla reputazione di solida compagnia guadagnata negli anni.
Partire da zero
Alcune aziende, ben consce che sarebbe troppo dispendioso e complicato scardinare una percezione tanto sedimentata scelgono di non provarci nemmeno. Piuttosto preferiscono lanciare un nuovo brand da zero cercando anche di minimizzare il collegamento con casa madre.
Ad esempio Coca Cola per lanciare la linea di tè aromatizzati Fuze Tea si è ben guardata dal rimarcare la connessione tra le 2 aziende. Probabilmente ha capito che dopo aver venduto per 130 anni un mix segreto di coloranti, zucchero, caffeina e anidride carbonica, sarebbe risultata poco credibile come produttore di semplice tè aromatizzato con frutta e fiori.
Merge & Acquisition
A volte il riposizionamento è dinamico e quasi involontario.
Scaturisce da una serie di scelte ed opportunità che vengono colte nel corso di diversi anni. È una cosa che capita alle grandi multinazionali che nel corso degli anni inglobano altre aziende.
L’importante è cercare di mantenere un minimo la barra dritta per evitare di diventare la nuova Veridian Dynamics. Avete colto la citazione?
Mark Zuckerberg, quando fondò Facebook nel 2004, di certo non aveva idea del fatto che la sua azienda sarebbe diventata una “social technology company”.
Ma dopo anni di acquisizioni, estensioni e sviluppo di servizi che vanno ben oltre il social network si è arrivati alla nascita di Meta.
Un’azienda con una mission che 18 anni fa non era neanche immaginabile.
Anche Amazon ha avuto una parabola simile: dalla vendita di libri per corrispondenza all’offerta di viaggi turistici nello spazio.
La percezione di questa azienda nella mente dei consumatori è completamente cambiata negli anni.
Come abbiamo detto all’inizio, nella vita di un’azienda, un qualche tipo di rebranding è fisiologico ed è sbagliato opporsi a tutti i costi. Anzi, per un business è fondamentale saper cogliere le opportunità e capire i cambiamenti del mercato.
Coerenza e credibilità non sono sinonimi di cocciutaggine.
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