Per tanti anni i prodotti tipici del mercato plant based sono stati relegati in qualche angolo buio dei supermercati oppure sugli scaffali di piccoli negozi specializzati. Praticamente ignorati da chiunque non avesse un bisogno specifico, adesso si sono guadagnati un posto al sole sul “palco centrale”.
Sempre più persone li vedono come una valida alternativa ai prodotti derivati dagli animali, tanto da farle entrare nell’alimentazione quotidiana della famiglia.
N.B: Quando si parla di alternative vegetali non bisogna pensare solo ai sostituti della carne, ma ad una vastissima gamma di prodotti come:
- bevande vegetali
- gelati, yogurt, burro e formaggi
- burger, polpette, bocconcini, salumi ed insaccati
Trend di crescita del mercato plant based
Il settore delle alternative vegetali si può dividere in 2 macro categorie: i sostituti della carne e quelli del latte.
Proprio questi ultimi hanno aperto la strada, ormai tanti anni fa. Oggi sono presenti in grande quantità e varietà sugli scaffali dei negozi di tutto il mondo.
Secondo le ultime stime circa il 75% della popolazione mondiale è intollerante al lattosio, con le regioni dell’ est asiatico in cima alla classifica.
Il mercato delle alternative vegetali ai latticini è decisamente maturo e già nel 2020 valeva circa 23 miliardi di dollari.
A trainarlo sono soprattutto le bevande che contano per il 75% delle vendite complessive.
Secondo una ricerca di Bloomberg, con questi ritmi, si prospetta una crescita esponenziale di tutto il settore che arriverà a 162 miliardi di dollari nel 2030.
Negli ultimi anni, ad attirare l’interesse di tutti gli stakeholder, sono stati soprattutto i sostituti della carne.
Sebbene per ora rappresentino solo lo 0.3% del mercato si prevede che il loro valore raggiungerà i 74 miliardi entro il 2030.
Questo settore è piuttosto giovane ed ha una grande potenzialità. Le alternative attualmente disponibili non sono molte, lasciando perciò un ampio margine per lo sviluppo di nuovi prodotti e per l’ingresso di nuove aziende.
Per arrivare a prodotti che siano considerati delle REALI alternative alla carne dal punto di vista sensoriale c’è bisogno di ingenti investimenti in ricerca e sviluppo. Questo fa sì che il mercato sia presidiato solo da grandi multinazionali. Oppure da startup specializzate che sono riuscite ad assicurarsi consistenti fondi.
Chi consuma i prodotti plant based?
Potrà sembrare strano ma il target principale delle alternative plant based non sono vegani e vegetariani. Chi ha rinunciato alla carne da molti anni non sente affatto la necessità di prodotti che ne simulano le caratteristiche.
Non sono neppure coloro che hanno esigenze alimentari specifiche a causa di particolari problematiche di salute. Seppure queste persone possano trarre indubbi benefici dalla presenza di queste alternative, rappresentano una piccola nicchia di mercato.
A ricercare sempre di più questi alimenti sono fondamentalmente 2 gruppi:
- chi è in transizione verso un regime alimentare completamente vegetariano o vegano
- chi vuole ridurre il consumo di carne, magari per motivi salutistici (reduceriani o flexitariani)
Con questo identikit molto flessibile, capirete che il bacino di utenti è potenzialmente enorme.
Nuove richieste dei consumatori
A guidare le scelte di queste persone non sono problemi fisici (allergie, intolleranze, patologie), ma il loro mondo valori.
E sicuramente in cima alle preoccupazioni dei consumatori moderni ci sono salute, sostenibilità ed etica.
Salute
L’attenzione verso stili di vita più salubri cresce da anni supportata persino da istituzioni internazionali come l’OMS.
Le persone sono sempre più attive ed attente ad un’alimentazione in cui il consumo di carni rosse sia più moderato.
Sostenibilità
Le richieste di scelte più sostenibili da parte dei consumatori, soprattutto i più giovani, sono sempre più pressanti. E questo si applica non solo al food ma anche ad altri settori, come il mercato del fashion ad esempio.
Per migliorare l’impatto ambientale delle nostre azioni c’è bisogno che tutti facciano la loro parte, aziende e clienti.
Etica
C’è sempre una maggiore sensibilità verso il trattamento che subiscono gli animali. I metodi di allevamento intensivi, che hanno permesso le economie di scala, non sono più visti di buon occhio. Anzi c’è chi ritiene che gli animali non dovrebbero essere allevati per l’alimentazione umana.
I player del mercato plant base
Di aziende specializzate nella creazione di prodotti vegetali o a base di soia ne esistono migliaia in tutto il mondo. Alcune di esse sono attive da decine di anni, come l’italianissima Valsoia che esiste dal 1990.
Ma se parliamo di alternative alla carne dobbiamo riferirci ad aziende molto diverse, a partire dalla mission.
Infatti negli ultimi anni le imprese che sono entrate nel mercato del plant base food lo hanno fatto con il goal di sviluppare dei prodotti in grado di replicare in tutto e per tutto le caratteristiche della carne. Dalla consistenza alla resa in cottura, dal sapore fino ai valori nutrizionali.
Un obiettivo così ambizioso implica costi per miliardi di dollari. Bisogna sviluppare i prodotti, costruire gli impianti di produzione ed entrare in un mercato iper competitivo come quello del food.
Con queste premesse la forza economica è il discrimine maggiore tra chi può e chi non riesce nemmeno a tentare l’impresa.
Non è un caso che tra i player più forti troviamo grandi multinazionali come Nestlé (Garden Gourmet) e Kellogg (MorningStar) oppure startup che hanno ricevuto enormi investimenti come Beyond Meat (finanziata da Bill Gates e Di Caprio) o Impossible Foods (finanziata da Google e dall’immancabile Bill Gates).
Se per le multinazionali l’apertura di queste “branche” è motivata dalle opportunità di business proficue, nel caso delle startup le motivazioni sono un po’ diverse. Già dalla mission queste aziende si dichiarano impegnate a salvaguardare l’ambiente attraverso una trasformazione del sistema alimentare globale.
Marketing nel mercato plant based
Con tutta la pressione mediatica generata a tutti i livelli intorno ai temi della sostenibilità e degli stili di vita, le aziende non hanno dovuto fare grandi sforzi per creare la domanda di questi prodotti.
La popolazione di chi punta a diminuire il proprio impatto ambientale o migliorare lo stile di vita è in continuo aumento.
La “battaglia” piuttosto si gioca sul convincere i potenziali clienti del fatto che un determinato prodotto sia anche “buono” per il palato.
Infatti è proprio questo il tasto su cui battono praticamente tutte le campagne di promozione di burger vegetali ed affini.
Nei video e nelle foto vediamo immagini di piatti che non hanno nulla da invidiare agli “originali”, anzi sono altrettanto “food porn”.
Il fatto stesso che oggi questi prodotti si trovino negli stessi scaffali dei loro corrispettivi animali porta il consumatore ad assimilarli. Effetto che si fa ancora più forte se li troviamo in posti come McDondals, KFC, Burger King e Taco Bell.
L’offerta dei burger vegetali in questi templi del junk food è stata una strategia vincente. Ha stimolato moltissimo la penetrazione di questi prodotti soprattutto nel mercato americano.
Su chi fa presa
Come abbiamo accennato, il gruppo delle persone che si rivolge al mercato plant based è vasto ed estremamente eterogeneo.
È un target che ha diversi livelli di consapevolezza ed interesse per le tematiche della sostenibilità, del benessere e dell’etica.
Possiamo escludere coloro che hanno adottato da tempo stili di vita orientati al rispetto delle risorse e degli animale (ad esempio i “vegani della prima ora”). Probabilmente non si fanno abbindolare dai claim perché hanno alle spalle una certa ricerca ed approfondimento.
Anche chi è molto attento all’alimentazione salutare fa un uso moderato di questi prodotti preferendo cibi più naturali. Spesso queste alternative alla carne presentano una lista di ingredienti infinita, non sono salubri e sono anche molto manipolati.
Chi è ha un approccio più “superficiale” e meno curioso verso certe tematiche o i meno ossessionati dall’etichetta, rientrano perfettamente nel prototipo di consumatore tipo.
È un ritratto che coincide abbastanza fedelmente con le generazioni più giovani, più impegnate nella ricerca dell’ultimo trend che ad approfondire una determinata questione oltre un certo livello.
Le piattaforme Social, fonte esclusiva e primaria di informazione per Milennials e Gen Z, sono però un’arma a doppio taglio. Da una parte offrono accesso h24 a moltissime notizie, dall’altra non spronano a saperne di più attraverso fonti diverse.
Tante informazioni, frammentate e parziali, che non contribuiscono a creare una vera e propria riflessione critica.
Luci ed ombre
Questo atteggiamento lascia spazio a diverse zone d’ombra e a comportamenti poco trasparenti da parte di alcune aziende.
La sostenibilità è una questione estremamente complessa che non si riduce soltanto al trattamento degli animali negli allevamenti o all’uso dei pesticidi. Per essere una realtà aziendale etica è necessario adottare politiche virtuose in ogni fase:
- Nell’approvvigionamento delle materie prime e nell’uso dei territori
- Nei rapporti con i fornitori e con i dipendenti
- In tutte le fasi di produzione, dalla lavorazione allo smaltimento degli scarti
- Nell’uso delle risorse energetiche (elettricità, acqua etc) negli impianti
- Nella distribuzione e design del packaging (troppo spesso molto poco eco friendly)
Rispettare tutte queste best practice è molto difficile e non ci aspettiamo che tutti riescano a farlo ad un ottimo livello e su tutti i punti.
Il problema però nasce quando un’azienda fa grandi proclami senza sostanziarli in azioni concrete. Una pratica che sa più di green washing per profitto che di reale impegno.
L’unico modo per evitare che i brand assumano comportamenti di questo genere è che i consumatori siano più informati e chiedano maggiore trasparenza.
È un bene che ci sia sempre maggiore attenzione per tematiche come la sostenibilità ambientale e uno stile di vita sano.
Ma affinché il mercato del plant based sia davvero maturo servono consapevolezza ed impegno, non solo il raggiungimento di determinati obiettivi economici.
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