Marketing e bellezza sono da sempre un’accoppiata molto pericolosa.
Il settore che gira attorno a moda, beauty, wellness, estetica è uno dei più remunerativi ma anche uno di quelli che più spesso finisce nell’occhio del ciclone.
Le polemiche attorno agli standard di bellezza non sono certo una novità e sono vecchie quanto l’industrializzazione.
Non che nel 1600 non ci fossero canoni estetici ritenuti top, solo che probabilmente non venivano sfruttati dal marketing per vendere creme, bibitoni o workout.
Il marketing per costituzione propone modelli da seguire ed imitare. Modelli a cui aspirare per migliorarci e aderire ad un certo standard. Se il prodotto non ci rendesse in qualche modo migliori non vorremmo comprarlo, no?
Da bellezza “naturale” ad Instagram beauty
La dinamica che abbiamo descritto sopra, già tossica di suo, è stata amplificata dall’avvento delle nuove tecnologie e dei social.
Prima gli standard di bellezza erano elevati e difficilmente raggiungibili. Servivano un bravo fotografo, le luci giuste, il make up ad hoc, un’accurata produzione e soprattutto la benevolenza di madre natura.
Pensiamo alle top model degli anni ’90 o agli angeli di Victoria Secret’s. Non si può negare che la base di partenza fosse piuttosto buona, al netto di diete da fame, allenamenti estenuanti e un aiutino del chirurgo.
Adesso basta un’app da 99 centesimi e chiunque può essere più alto, magro, muscoloso o cambiare i tratti somatici.
Dateci 5 minuti e Magalli diventa Skarsgård!!
A leggerla così si potrebbe pensare che la tecnologia abbia reso la bellezza più democratica, alla portata di tutti.
Il problema è che non essendoci più limiti alle possibilità di modificare il proprio aspetto, la situazione è sfuggita di mano.
Il marketing ha iniziato a proporre canoni di bellezza sempre meno realistici e sui social vediamo caratteristiche fisiche che, trasportate nella vita reale, sarebbero indice di qualche problema di salute o addirittura di deformità.
Una bellezza così democratica, però, finisce col diventare decisamente oppressiva.
Instagram rende i nuovi canoni di bellezza onnipresenti 24 ore al giorno. Non sono più 10 top model a “minacciare” la nostra autostima dalle copertine delle riviste o dalle passerelle, ma anche la vicina di casa con i suoi selfie.
L’Instagram beauty è quella della pelle senza imperfezioni, la vita (pericolosamente) sottile o l’addominale scolpito.
Un avatar perfetto, che esiste solo online.
Cosa è reale e cosa no
Il fatto di crearsi un alter ego digitale esteticamente perfetto sembra quasi un gioco, ma in realtà nasconde tantissime insidie.
Le persone tendono a considerare i contenuti sui social genuini e faticano a distinguere un’immagine “naturale” da una modificata (anche pesantemente).
Molti di voi staranno pensando: che ci vuole a riconoscere una foto ritoccata? Beh, vi sbagliate!
Un recentissimo “esperimento sociale”, condotto dal Dipartimento di Scienze Psicologiche della Salute e del Territorio dell’Università di Chieti, dimostra che l’incapacità di distinguere tra foto reali e non, è assolutamente trasversale.
Abbiamo parlato con la dott.ssa Lilybeth Fontanesi ideatrice di un piccolo gioco “The Beauty & the Beastagram” che è stato svolto durante la notte dei ricercatori dell’Università di Chieti.
Ci ha raccontato come delle oltre 200 persone che hanno partecipato, meno del 5% è riuscito ad individuare tutte le immagini modificate. Gli unici che ci sono riusciti senza sforzo sono persone abituate ad usare programmi di grafica, come Photoshop o similari, in campo lavorativo.
“La conseguenza di questa incapacità di distinguere è che chi usa i social, soprattutto i più giovani, si mette a confronto con immagini irrealistiche e con standard impossibili da raggiungere. Il risultato è un’estrema frustrazione che influisce negativamente sul benessere psico-fisico”.
Gli effetti dell’Instagram beauty sui giovani
L’esperimento appena citato era solo un piccolo gioco, fatto per creare awareness sul fenomeno.
Ma la dott.ssa Fontanesi si occupa da anni di indagare le conseguenze degli stereotipi di bellezza sul benessere dei giovani.
Le sue ricerche, fatte su un campione italiano ambosessi, dimostrano che la fruizione massiccia di contenuti di un certo genere può provocare l’insorgere di disturbi come depressione, bassa autostima, dipendenza, ansia e dismorfia digitale.
Quest’ultimo è un disturbo legato all’immagine corporea in cui non ci si riconosce più nella propria immagine allo specchio ma solo nel proprio avatar modificato, che si posta online.
Il report “segreto” di Facebook
In questi giorni si è molto parlato degli studi commissionati da Facebook per valutare le conseguenze dell’utilizzo prolungato di Instagram sugli adolescenti. Dal 2019 l’azienda californiana ha portato avanti delle indagini approfondite sul modo in cui i giovani utilizzano le sue piattaforme e sui relativi effetti.
L’analisi non è limitata solo alla percezione della body image, ma copre praticamente tutti i tipi di contenuti che si trovano su Instagram. È stata realizzata su una larghissima scala e con strumenti e metodologie diversi (questionari online, focus group in presenza etc).
Social comparison
Il focus delle surveys è la cosiddetta social comparison ossia l’attitudine degli utenti, sopratutto i più giovani, a confrontare se stessi con i contenuti che vengono pubblicati su Instagram.
Questo avviene sia con account di personaggi famosi (attori, sportivi, cantanti etc) sia con quelli di influencer più o meno seguiti sia con semplici utenti.
Se il confronto con le celebrità è più facile da gestire (ci sono fin troppi motivi per spiegare le differenze), la situazione è molto più complessa quando a mostrare una vita, un fisico, un look perfetti sono i nostri pari o le persone che consideriamo tali.
Non a caso i profili considerati più tossici dai partecipanti allo studio sono quelli degli influencer.
Questa figura, che nasce come un profilo qualsiasi, un “amico virtuale” che ci può dare consigli, si è trasformata nel tempo in una semi-celebrità che mostra continuamente uno stile di vita inarrivabile (e spesso completamente inventato).
Uno scatto sapientemente realizzato nel giardino di casa può essere spacciato per una vacanza in un resort di lusso. E anche in questo caso gli adolescenti hanno molta difficoltà a riconoscere la veridicità dei contenuti.
Ciò che si innesca è un confronto impietoso, un senso di inadeguatezza e una forte autosvalutazione personale. Purtroppo questo sistema malato permea tutti i social, soprattutto Instagram che viaggia sull’immagine.
È un circolo vizioso in cui tutti cercano di aderire ad una certa estetica (l’Instagram beauty), di mostrarsi sempre vincenti, di sfoggiare una vita meravigliosa.
Tutti ci provano, tantissimi vivono nella frustrazione di non arrivarci mai, ma continuano comunque a fingere.
Cosa chiedono i giovani ad Instagram?
I partecipanti alle survey hanno fornito risposte contrastanti su come la piattaforma potrebbe limitare gli effetti negativi che genera.
I giovani dicono di voler avere il pieno controllo sui contenuti che vedono ma, allo stesso tempo, vogliono che sia la piattaforma a “moderare gli stessi”. Questo significa che Instagram dovrebbe decidere a priori cosa mostrare e cosa no, attuando di fatto una censura. Ma non è facile, perché gli utenti stessi non danno un giudizio univoco sui contenuti.
Ad esempio c’è chi trova i post relativi al fitness molto utili ed incoraggianti e chi li vive con un enorme senso di inadeguatezza. Naturalmente ci sono altri contenuti che tutti giudicano in modo negativo:
- Fashion e lifestyle. Molti pensano di non poter avere un determinato look perché non hanno le risorse economiche sufficienti a comprare abiti e accessori di marca.
- Diete e prodotti per dimagrire. Spinti fortemente da molti influencer (che non ne hanno mai avuto bisogno tra l’altro), generano grossa frustrazione perché non fanno ottenere i risultati sperati. E tutto ciò allontana dalla tanto agognata Instagram beauty.
- Beauty routine. I contenuti che parlano di cura della pelle, in particolare dell’acne, sono fonte di enorme stress. Molti non si rendono conto di trovarsi di fronte a volti alterati in modo da eliminare tutte le naturali imperfezioni.
L’ambivalenza riguarda anche il bisogno di supporto per superare i momenti di ansia da social. Tutti vorrebbero qualcuno con cui parlare ma non sono in grado di indicare una figura specifica. I genitori, beh… sono boomer, gli amici ti giudicano, il consulente scolastico non ti capisce, sui social si postano solo cose positive e l’influencer è il trigger negativo per eccellenza.
Non a caso un’altissima percentuale di adolescenti ha dichiarato di sentirsi solo e di aver sviluppato una qualche forma di depressione.
L’incapacità di affrontare questi problemi è ancora più evidente quando si scopre che molti giovani seguono account che li fanno stare male e dicono di non riuscire a smettere. Una sorta di circolo di dipendenza difficile da spezzare.
Strategie per limitare i danni di Instagram
Da ciò che abbiamo detto finora è evidente che il problema è molto complesso, radicato e coinvolge diversi soggetti.
Anche se di solito tutti puntano il dito contro la piattaforma, in questo caso Instagram, la realtà è che questa è solo il “palcoscenico” dove recitano tanti attori. Senza la volontà e la collaborazione di tutte le parti, difficilmente si possono ottenere risultati di qualche tipo. Chi si sta impegnando davvero a fare qualcosa?
Nonostante tutte le critiche, alcune più che giuste, bisogna dargli il merito di aver dato voce alle opinioni degli utenti. Fare un’indagine approfondita sugli effetti del proprio servizio non è da tutti.
In questi ultimi anni ha anche provato ad accogliere alcuni dei suggerimenti emersi durante lo studio. Vi ricordate quando è stato rimosso l’indicatore del numero dei like, reintrodotto in seguito solo su scelta dell’utente?
Era proprio un tentativo di applicare una delle richieste dei giovani partecipanti all’indagine. Sembra infatti che il confronto con i like ottenuti dagli altri sia motivo di molta ansia e inadeguatezza.
Anche l’introduzione di nuovi formati per i contenuti, come stories e reels, asseconda alcune indicazioni ricevute.
I giovani preferiscono i contenuti video perché li reputano più genuini e più reali (anche se sì, è possibile editare anche i video).
Nel video il conteggio like non è così evidente, inoltre questi contenuti mettono più in luce il “talento” e le “abilità” dei creators.
I brand
Purtroppo il settore fashion/beauty non sta facendo molto e continua a perpetrare un sistema che genera insicurezza e bassa autostima. Se in passato il target principale erano le donne, adesso anche gli uomini sono sempre più sotto pressione per adeguarsi a determinati canoni estetici. Ma non è certo questa la parità di genere che vorremmo vedere…
Sui media tradizionali, durante le sfilate, nelle immagini di campagna sui social si propongono sempre i soliti modelli.
Anche i testimonial e gli influencer scelti per le collaborazioni devono rispondere ai canoni estetici del momento, quelli della Instagram beauty. Poco importa se lo fanno naturalmente o grazie all’uso di filtri.
Ci sono pochissimi casi di brand che stanno provando a fare realmente qualcosa di utile, come ad esempio finanziare programmi di educazione all’uso dei social nelle scuole. Molte volte però le loro iniziative sembrano più tentativi di “washing”, che reale preoccupazione.
Nessuno spinge verso la liberazione totale dai canoni imposti, al massimo abbiamo visto tentativi di sostituire uno standard con un altro. Al grido di inclusività e diversità, cambio target per vendere a nuovi segmenti di utenti. Clever!
Gli influencer, portavoce dell’Instagram beauty
Sono allo stesso tempo carnefici e vittime del sistema. Da quando hanno capito che essere popolari sui social porta soldi, non hanno perso tempo ad adeguarsi al meccanismo con ogni mezzo.
Comprano fake followers, usano filtri innaturali, dicono tutto e il contrario di tutto, cavalcano gli hot topic del momento e svendono completamente la propria privacy.
Tutto ciò per vendere un unico prodotto: loro stessi.
Nel caso degli influencer, è davvero difficile trovare profili che si mostrano per quello che sono. La stragrande maggioranza non tiene in minima considerazione gli effetti dei loro contenuti sui giovanissimi.
Anzi, spesso mentono spudoratamente creando ancora più confusione nella mente dei follower (avete presente le foto con filtri dove appare l’hashtag #nofilter?).
Oppure lanciano direttamente messaggi profondamente negativi.
E il marketing keffàà??
Chi lavora nei dipartimenti marketing delle aziende ha la sua dose di colpa, per quanto condivisa ( a volte subìta) con la dirigenza.
In primis quella di aver contribuito a creare questa fittizia Instagram beauty che tutti inseguono.
Di certo l’obiettivo numero uno resta sempre vendere il proprio prodotto/servizio.
Ci sono delle strategie collaudate per raggiungere questo scopo, però ci sembra che ultimamente ci sia un po’ troppa pigrizia e carenza di creatività. Questo porta all’adozione di tattiche semplici da realizzare ma poco rispettose del benessere psicologico dei destinatari.
Ad esempio, fare leva sulle insicurezze fisiche, cosa che piace tanto al mondo beauty, è molto scorretto. Ci sono mille modi di avvicinare i consumatori al proprio prodotto, senza fomentarne le ansie. Non è necessario neppure rinunciare all’influencer marketing, ma almeno andrebbe fatta una scelta oculata delle collaborazioni privilegiando testimonial più positivi.
Non sta al marketing avere una funzione pedagogica cosa che spetta alla famiglia, alla scuola e all’industria culturale.
Nessuno però ci vieta di presentare esempi davvero più inclusivi e vicini alla realtà.
Articolo molto interessante così come l’esperimento-gioco portato avanti dalla Dott.ssa Fontanesi. Condivido l’idea che ci sia la necessità di una “educazione” ai social, ma mi chiedo anche , chi educherebbe gli educatori? Vittime dell’apparire non sono solo i giovani o giovanissimi, questi ultimi in realtà, soprattutto i ragazzi, utilizzano i social per lo più per giocare. Il problema è serio e temo che non ci sia soluzione, oltre ad essere una nuova età dell’ansia quella che ci troviamo a vivere è anche l’era della fiction, in tutti i sensi!
Voglio tuttavia sperare che, visto che ci sono ancora persone, ‘giovani’, come voi che si pongono e propongono il problema, forse nulla è perduto…..