Il fenomeno degli influencers sembra al top. Anche se il mercato non ha ancora raggiunto la maturità, l’influencer marketing sta attraversando una fase di ebrezza in cui le aziende si muovono in modo confusionario e gli influencers, o supposti tali, vendono i loro servizi a caro prezzo senza garanzie e basi solide. C’è bisogno di fare chiarezza e mettere dei paletti per evitare alle aziende di sprecare opportunità, soldi e tempo, ma soprattutto di procurarsi danni di immagine che nel tempo svalorizzano il brand.
La comunicazione commerciale, per costituzione, soffre sempre di problemi di fiducia (“come faccio a fidarmi di chi vuole vendermi qualcosa?”) ed ogni tattica o strumento che può dare al cliente la percezione di una comunicazione disinteressata e verace è considerato come un Santo Graal del marketing.
L’influencer infatti nasce proprio per questo: per dare alla comunicazione commerciale la credibilità e genuinità della vita reale.
Chi è un influencer
Il termine influencer ha iniziato ad entrare nell’uso comune circa 5 anni fa con l’affermarsi dei social network. Non a caso, le ricerche online di questa parola sono cresciute esponenzialmente dal 2015 ad oggi.
In teoria un influencer dovrebbe avere una profonda competenza di un settore specifico.
Questo è il motivo principale per cui altre persone lo seguono; sono gli altri che ti fanno diventare un influencer decidendo di affidarsi ai tuoi consigli.
Starete pensando che figure come queste esistono da sempre, sicuramente da molto prima dei social. E in infatti è così.
Rimanendo nel mondo digital, già 10/15 anni fa esistevano blogger molto seguiti che avevano già costruito delle community piuttosto verticalizzate. Queste persone erano in grado di influenzare le opinioni dei loro lettori e i loro comportamenti d’acquisto.
Un esempio? Clio Zammatteo, nota ai più come Clio make up, è stata una delle prime blogger a diventare un punto di riferimento per chiunque fosse interessato al make up.
Al tempo questi personaggi non venivano chiamati influencer, ma ne possedevano tutte le caratteristiche:
- Conoscenza di un settore
- Community coinvolta
- Capacità di indirizzare le opinioni
Nel campo del marketing venivano chiamati opinion leader, nome quantomai esplicativo.
Poi arriva l’ influencer marketing
C’era proprio bisogno di coniare un nuovo termine per descriverli? Molto probabilmente no (ma a noi del marketing piace un sacco farlo).
Con la predominanza dei social network queste figure, che avevano il loro habitat naturale su siti e blog, si sono spostate sui nuovi canali. Il loro modo di comunicare e a volte anche i contenuti, sono cambiati così come si è modificato il rapporto con la community. Ora l’interazione con i follower è molto più veloce. Si possono fare dirette e rispondere live alle domande, si scambiano rapidi commenti botta e risposta sotto a foto e video.
Tutto ciò fa sì che l’utente percepisca meno distanza con loro e un maggior grado di coinvolgimento. Si rafforza l’impressione che siano nostri pari, amici con cui potersi confrontare su tutto.
Proprio in questo rapporto più paritario con la community sta forse l’unica giustificazione plausibile per l’invenzione del termine influencer. Visto quello che abbiamo detto nella premessa, è ovvio che i marketers si siano subito accorti delle potenzialità dell’ influencer marketing. Collaborando con loro, le aziende hanno accesso ad una vera e proprio miniera d’oro: i follower. E sfruttando la fiducia che questi ultimi ripongono nell’influencer, diventa più facile vendere un prodotto/servizio.
Questo dovrebbe essere il vantaggio competitivo messo sul tavolo dall’influencer marketing rispetto ad altre tattiche.
Ruoli del marketing
La definizione che abbiamo dato sopra già imporrebbe dei paletti alla figura dell’influencer, ma ad oggi il termine viene usato ed abusato impropriamente. La mancanza di una definizione precisa fa sì che chiunque abbia un seguito online sopra i 1000 utenti (ma anche meno), venga chiamato influencer – o almeno si definisca tale.
Andrebbero fatte invece delle distinzioni più precise, poiché esistono varie figure con caratteristiche diverse.
Opinion leader
L’opinion leader, l’antenato dell’influencer, è un’esperto di settore, conosce bene quello di cui parla e per questo motivo gode di una certa credibilità. Di solito non può contare su milioni di followers, ma chi lo segue si affida ai suoi consigli e pareri.
Il numero di “seguaci” ed il loro coinvolgimento non sono il suo obiettivo principale ed i suoi contenuti sono piuttosto approfonditi, motivo per cui spesso e volentieri utilizza anche canali che permettono di produrre contenuti sostanziosi come blog e siti web. Ma soprattutto i suoi post sono “disinteressati” nel senso che non riceve compenso per crearli.
Se volete un esempio pensate a divulgatori come Dario Bressanini o Salvatore Aranzulla.
Testimonial
Il testimonial solitamente è un personaggio famoso senza alcun legame con ciò che promuove, a parte il contratto che ha firmato con il brand.
Può essere completamente estraneo al settore del prodotto che pubblicizza ed è un ruolo che esiste dalla notte dei tempi. L’azienda che lo sceglie lo fa per “associarsi” ad alcune delle qualità che vengono riconosciute al testimonial.
Un reparto marketing dovrebbe valutare bene questo tipo di collaborazioni per essere sicuro di scegliere il volto ideale che incarni i valori e lo storytelling del brand.
Se vi ricordate lo spot di Bridgestone con Paltrinieri, andato in onda durante le passate olimpiadi, è facile capire cosa intendiamo come ottimo testimonial. Il nuotatore ha le caratteristiche di tenacia, resistenza e determinazione di cui anche il brand vuole vestirsi.
Altre figure
Se abbiamo capito una cosa di internet è che si tratta un potentissimo generatore di entropia. Influencer è solo uno dei tanti termini, nati negli ultimi anni, che invece di fare chiarezza aumenta la confusione.
Creator
Questa parola, in realtà, ha una sua dignità. Indica una persone che produce contenuti per il web (solitamente video) e che guadagna in base alle visualizzazioni che questi ottengono. La figura è stata formalizzata da YouTube per permettere a queste persone di avere un ritorno economico dalla loro creatività. Anche su TikTok funziona allo stesso modo. Le piattaforme stesse si contendono i creator più talentuosi a colpi di contratti milionari.
Pensiamo a Khaby Lame che di rado nei suoi video sponsorizza prodotti o marchi. Lui monetizza grazie alle tantissime visualizzazioni dei suoi contenuti, ormai è talmente famoso da essere conteso tra TikTok e Facebook (o forse dobbiamo dire Meta?).
Webstar
Questo è uno dei termini meno chiari, ma più utilizzati. Di preciso qual è la caratteristica principale di una webstar? Il numero di followers? L’ambito in cui è diventata famosa? Il tipo di contenuti che produce? Non lo sa nessuno. Di sicuro è un concetto che si sovrappone ad altri che abbiamo già descritto.
Talent
Sì esiste anche questa parola, ma la differenza con il creator non è chiara. Forse che YouTube non ti paga…
Aspettativa VS Realtà
In un mondo ideale l’influencer dovrebbe essere una persona con competenze specifiche, una community coinvolta che lo percepisce come un pari. Per queste caratteristiche è in grado di influenzare le scelte dei follower e generare conversioni. Nello stesso mondo gli influencer non dovrebbero accettare qualsiasi tipo di collaborazione e le aziende dovrebbero sceglierli con attenzione.
Purtroppo la realtà è decisamente diversa.
A causa dell’enorme giro di affari che si è creato attorno a questa figura, ormai essere influencer è diventato un progetto di vita.
L’influencer “naturale” (designato dagli altri) è sempre più raro, mentre aumentano a dismisura quelli che si costruiscono un’ immagine a tavolino. Campioni indiscussi di FITMI, Fake It Til you Make It.
Questi aspiranti influencer comprano followers ed interazioni fasulle e fingono uno stile di vita che non hanno davvero. Tutto nella speranza di attirare l’attenzione di qualche brand.
In pratica il loro obiettivo è quello di vivere (e anche alla grande) di quello che guadagnano sponsorizzando prodotti sui social. Qualsiasi prodotto. Non c’è più nicchia che tenga o competenza richiesta.
Quindi, in questo momento storico, se vogliamo dare una definizione realistica di Influencer potremmo che si tratta di una persona la cui fonte di reddito principale proviene dalla promozione di prodotti sui social network. In pratica spazi pubblicitari viventi.
Futuro dell’ influencer marketing
Di certo non siamo gli unici a pensare che nell’ influencer marketing si sia creata una bolla che sta per scoppiare; come per tutti gli altri fenomeni anche questo uscirà dalla frenesia iniziale per raggiungere la maturità.
Oramai anche profili con poche centinaia di followers ricevono proposte di collaborazione; continuando così ci saranno solo influencer e nessuno da influenzare.
Le conseguenze iniziano a vedersi già adesso.
Consumatori
Gli utenti dei social ormai hanno imparato a riconoscere i contenuti sponsorizzati, e ne sentono tutto il peso. Ogni giorno aumenta il numero di chi skippa i post pubblicitari, si lamenta per il bombardamento di contenuti tutti uguali, o addirittura smette di seguire un profilo troppo markettaro. Sono inutili e anche ridicoli gli appelli a sostenere con un like gli sforzi profusi per creare contenuti promozionali.
Aziende
Ormai tantissime aziende hanno avuto modo di sperimentare l’influencer marketing con risultati altalenanti. Accanto ai grandi successi ci sono altrettanti fallimenti. Tra fake influencer, mancanza di professionalità e ingaggi sbagliati la fiducia verso queste strategia sta calando. Le aziende ora richiedono qualità dei contenuti, un track record trasparente e contratti chiari e sempre più stringenti.
Influencer
L’ esistenza di tanti aspiranti influencer ha creato molta competizione ed abbassato il livello medio dei contenuti.
L’emulazione esasperata ha generato un’ “estetica del post sponsorizzato” che viene rispettata fedelmente soprattutto dai meno creativi, che purtroppo sono la maggioranza.
Influencer più professionali e con una certa etica del lavoro si scontrano quotidianamente con wanna-be disposti a farsi pagare in visibilità. Questo genera una guerra dei prezzi dove spesso il più conveniente non è il migliore e che penalizza tutto il settore. Se finora la qualità non è stata al centro delle loro preoccupazioni adesso bisognerà alzare il livello complessivo di professionalità. Non parliamo solo dei contenuti, ma anche del modo di gestire il lavoro.
Contenuti
L’engagement dei video supera di gran lunga quello delle foto, e questa è la direzione quasi obbligatoria che gli influencer dovranno prendere. I video mettono in risalto le capacità di chi li crea ed è quello che cercano sempre di più gli utenti. In sostanza vogliono vedere il talento in azione e sentirsi ispirati.
Ma soprattutto i contenuti, di qualunque tipo, dovranno abbandonare lo standard estetico delle promozioni e confondersi con tutti gli altri. Solo in questo modo possono avere una speranza di non attivare in chi guarda il bias negativo tipico della pubblicità.
Noi non siamo infallibili (ma ci andiamo vicino) e magari le nostre considerazioni sono inesatte, ma non c’è dubbio sul fatto che il mondo dell’ influencer marketing stia cambiando.
Questo è il momento giusto sia per le aziende che per gli influencer per modificare radicalmente l’approccio a tutto questo sistema.
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