La recente notizia del successo di Scalapay ha riportato su tutti i media il topic delle startup in Italia.
Ancora una volta si applaude una startup italiana che ottiene una valutazione da unicorno, ossia che supera il miliardo di dollari.
Non è la prima, infatti negli anni scorsi anche Depop e Yoox hanno raggiunto lo stesso traguardo. E anche in quelle occasioni sono stati versati fiumi di inchiostro per celebrare il “genio italiano”.
Peccato che tutte e tre di italiano abbiano ben poco…
Se andiamo a vedere la storia di questi progetti, uno dei punti in comune è proprio la velocità con cui hanno lasciato l’Italia per migrare verso Paesi più “startup friendly”.
Nel caso specifico di Scalapay l’unico tocco di tricolore presente è la nazionalità di alcuni membri del team. Infatti la startup, dopo aver ottenuto i primi investimenti in Australia, ha stabilito la propria sede in Irlanda che, a detta di uno dei founder Simone Mancini, “ha una legislazione favorevole per il fintech, con una burocrazia meno complicata rispetto all’Italia”.
L’ecosistema delle startup in Italia
La frase di Mancini descrive molto bene quella che è attualmente la situazione del nostro Paese. Un ambiente che per diversi motivi scoraggia la vera innovazione imprenditoriale.
L’Italia si fregia di essere una delle prime nazioni con una legislazione ad hoc per le startup. Inoltre secondo il Mise a Gennaio 2021 le startup registrate erano quasi 12.000.
Sulla carta un ecosistema molto attivo e fiorente, ma allora perché tante startup “italiane” trovano il successo solo all’estero?
Burocrazia e leggi
L’Italia è uno dei Paesi con la legislazione più complessa, lenta e farraginosa del mondo, e questo vale anche per le startup.
Quello che la legge italiana definisce startup è molto diverso da cosa si intende all’estero con lo stesso termine.
Se in America una startup si identifica in base a parametri come la scalabilità, la replicabilità ed il tasso di crescita, i requisiti italiani sono ben diversi. A partire dal concetto di “startup innovativa”, che esiste solo da noi, per rientrare in questa categoria sono richieste caratteristiche come:
- essere una società costituita
- fatturare meno di 5 mln di €
- sostenere spese in ricerca e sviluppo
- impiegare personale “altamente qualificato”, ossia laureati o dottori di ricerca (in qualsiasi materia)
Per esperienza personale possiamo dirvi che rispettare parametri così vaghi è piuttosto semplice. Il risultato di questo stato di cose è che quasi la totalità delle aziende presenti nel registro delle startup innovative in realtà sono delle semplici pmi.
Se le regole sono così flessibili, lo stesso non vale per la burocrazia che richiede una serie di attività inevitabili quanto inutili.
Un esempio emblematico è l’obbligo di costituire una società nel momento in cui si voglia accedere al registro, partecipare ad un bando pubblico o fare crowdfunding. All’estero queste necessità si palesano solo in una fase decisamente più avanzata.
In Italia costituire una società significa passare da un notaio (grazie a chi ha eliminato la possibilità di farlo online a 1 euro), iscriverla alla camera di commercio e tanti altri passaggi. E tanti soldi che sarebbero meglio impiegare in altre attività.
Tra lungaggini burocratiche e soldi che se ne vanno, la vita è davvero dura per chi vuole fare startup in Italia.
Bandi pubblici
Il nostro paese abbonda di enti di tutti i tipi pronti a finanziare progetti di startup. Non sono le occasioni a mancare, ma piuttosto le competenze per affiancare i vincitori nel loro percorso.
Questo si manifesta già nelle modalità dei bandi che spesso mettono così tanti paletti da compromettere il futuro della startup-to-be.
Se si ha la “sfortuna” di vincere il bando sbagliato si corre il rischio di ritrovarsi con un socio ingombrante ma:
- incompetente, ossia che ignora le dinamiche di base del mondo startup;
- assente, che da il finanziamento e nulla di più. Niente mentoring, networking o contatti utili e niente percorso verso un round successivo;
- troppo pressante, che entra a gamba tesa in ogni aspetto del business creando più intoppi che soluzioni.
Non stiamo dicendo che tutti i bandi italiani siano delle trappole, ma vanno valutati con attenzione per i benefici che portano.
Non solo nell’immediato (il finanziamento), ma soprattutto per lo sviluppo futuro della startup (mentoring, cap table, round futuri, etc).
Private equity
Accanto agli enti e le istituzioni pubbliche ci sono anche soggetti privati che investono in progetti di startup. Ovviamente parliamo di investitori “professionali” che si aspettano un ritorno, non di parenti ed amici che vogliono semplicemente aiutarvi.
Crowdfunding
In Italia ci sono diverse piattaforme che si occupano di equity crowdfunding. Sono tutte affidabili e nel corso degli anni hanno ottenuto ottimi risultati e aiutato tanti aspiranti imprenditori.
La loro attività è regolata dalla Consob e questo implica che per parteciparvi bisogna rispettare regole molto stringenti.
Prima fra tutte, essere una startup innovativa con tutte le complicazioni di cui abbiamo parlato sopra.
Tutto questo pone delle importanti barriere all’ingresso.
Business Angels
Sono imprenditori con un certo patrimonio che decidono di investire in startup nella speranza di fare forti guadagni in un tempo relativamente breve. Se avete fortuna, conoscono bene il settore della vostra startup e potrebbero farvi anche da mentor.
Purtroppo però, spesso si tratta di persone che hanno avuto grande successo in un diverso ambito, ma sanno pochissimo di come funziona una startup. Il che li porta ad avere aspettative sbagliate e a voler dire la loro su ogni aspetto.
Questa continua interferenza a lungo andare può essere più deleteria che altro.
Fondi di investimento
Negli ultimi 10 anni il settore delle startup in Italia è molto cresciuto ed è diventato appetibile per chiunque voglia fare un investimento. I fondi di investimento hanno iniziato ad interessarsi sempre più al settore e ne sono nati moltissimi focalizzati proprio su questo tipo di attività.
Ogni fondo ha sue regole e norme. Per entrare in contatto con organizzazioni di questo tipo il modo migliore è iscriversi alle call per startup che spesso promuovono.
Anche in questo caso l’Italia è un unicum rispetto alla situazione internazionale. All’estero ci sono fondazioni private che fanno investimenti ad alto rischio, perché sanno che il sistema funziona così. Nel nostro paese questa propensione è più debole.
I fondi privati sono piuttosto conservativi e ciò, a volte, compromette il potenziale di crescita della startup.
Venture Capitalist
I VC, tradizionalmente, intervengono nella vita di una startup in una fase intermedia o avanzata. Questo perché investono cifre elevate, nell’ordine di milioni. Per lo meno questo è ciò che succede nel resto del mondo.
In Italia però, sebbene in tanti amino definirsi con questo appellativo, non si comportano come tali. Tanto per cominciare l’ammontare degli investimenti è incomparabile con quelli che vengono fatti all’estero.
Molti di loro pretendono di acquisire un numero esagerato di quote, inficiando di fatto la possibilità di trovare futuri investitori.
Per non parlare di quelli che addirittura richiedono managing fee esagerate.
Insomma, quelle che abbiamo descritto sono practice che farebbero sbarrare gli occhi a qualsiasi VC americano.
Acceleratori ed incubatori per startup in Italia
Sono aziende specializzate nel dare supporto, soprattutto tecnico, a chi voglia avviare un loro progetto. Tendenzialmente intervengono dalla fase di validazione e accompagnano la startup fino allo scale up.
In questa fase la startup dovrebbe produrre già utili ed essere rodata; ha “solo” bisogno di soldi per espandersi velocemente.
L’acceleratore più noto a livello internazionale è l’americano Y Combinator, che ha lanciato progetti come AirBnB, Twitch e Dropbox.
In Italia ce ne sono molti; pochi “veri” e tantissimi “fasulli”. Con questo intendiamo dire che negli ultimi anni, abbiamo visto moltiplicarsi il numero di aziende autoproclamatesi acceleratori o incubatori.
Nei fatti sono completamente incapaci di dare supporto ad una startup, di trovare finanziatori reali o di fornire servizi ad hoc.
Però sono molto bravi a spillare soldi a speranzosi aspiranti imprenditori.
Mentor ed advisor
Sono professionisti che si propongono come guida per i founder. Dovrebbero avere un bagaglio di conoscenze su come funziona una startup e un network tale da poter aiutare qualsiasi progetto a crescere.
Purtroppo valgono le stesse considerazioni che abbiamo fatto sopra. La maggioranza di questi advisor non ha esperienza di prima mano nel settore, non ha agganci validi ma chiede soldi in cambio di servizi di dubbia utilità.
Come “sopravvivere” al sistema startup in Italia?
Da tutto ciò che abbiamo descritto finora emerge un quadro piuttosto sconfortante. Pieno di falle, regolamenti limitanti, personaggi loschi che vogliono approfittare dell’entusiasmo di giovani founder.
Non neghiamo questo stato di cose, è proprio per questo che in tantissimi scappano all’estero in cerca di ecosistemi più favorevoli.
Ma visto che non tutti hanno le possibilità di fare questo salto, proviamo a capire cosa c’è di buono in Italia e come approcciare in modo proficuo il settore.
1- Gestione budget
Purtroppo sulle questioni burocratiche c’è poco da fare, bisogna seguire le indicazioni di legge. Al massimo si può cercare di posticipare le spese di apertura della società e similari finché non diventano strettamente necessarie.
Per tutto il resto però non fatevi mettere sotto pressione o abbindolare da esperti di vario genere che vogliono vendervi a tutti i costi i loro servizi. Certo, è difficile orientarsi se non si hanno le competenze e se si è alle prime armi.
La tentazione di affidarsi completamente ad “uno che ci capisce” è tanta.
Ma, se non volete buttare al vento soldi preziosi (e di solito non se hanno molti) fate molta attenzione a come li spendete.
C’è un momento e un modo in cui fare una determinata attività. Ad esempio è inutile farsi fare un business plan completo se non vi viene esplicitamente richiesto da un investitore o un bando.
È un po’ come comprare un vestito elegante e costoso per un gala senza aver ricevuto l’invito.
Avrete solo un bell’abito nell’armadio ma 0 occasioni di indossarlo.
2- Background check
Visto che l’ambiente delle startup in Italia pullula di millantatori di ogni genere è fondamentale fare ricerche sul passato lavorativo di chi incontrate. Non c’è niente di male a chiedere il track record dei casi di successo pregressi.
Qualunque mentor serio non avrà problemi ad indicarli, perché sono il biglietto da visita migliore che che possa mostrare.
Ma non limitatevi a fidarvi di quello che vi dice l’esperto di turno, approfondite in rete le vostre indagini.
Non fermatevi alla lista di nomi ma cercate di capire cosa ha davvero fatto per quelle startup e se queste hanno effettivamente avuto successo.
3- Networking offline e online
Gli eventi per startup in Italia non mancano e sono aperti praticamente a tutti. Durante queste occasioni potete conoscere esperti di ogni tipo, aspiranti imprenditori, a volte anche finanziatori.
Insomma, tante persone che possono darvi suggerimenti sui giusti passi da fare, del tutto gratuitamente.
4- Mettere alla prova un’idea è importante tanto quanto averla
Finora abbiamo messo in evidenza le problematiche di investitori e consulenti vari ma anche i founder italiani non sono esenti da colpe.
Moltissimi sono così preoccupati di non farsi rubare l’idea da diventare troppo elusivi e non dare nemmeno le informazioni basilari sul loro progetto. Ma nel mondo delle startup il mistero serve davvero a poco.
Notizia shock: è molto probabile che la vostra idea non sia così rivoluzionaria come pensate.
Un investitore seriale valuta centinaia di proposte ogni anno, siete sicuri che la vostra sia così unica e disruptive?
Di certo, se ve la tenete solo per voi non lo saprete mai.
Notizia shock 2: gli investitori non hanno nessun interesse a rubarvi il progetto e svilupparlo per conto loro.
Il loro lavoro è fornire i soldi ad altri per poi fare una buona exit.
Non abbiate paura di confrontarvi con gli altri. È proprio in queste occasioni che potrebbero emergere punti critici che non avevate notato. Meglio accorgersene prima che quando ormai è troppo tardi.
Aziende come Yoox o Depop ci hanno dimostrato come sia possibile fare startup in Italia nonostante un sistema a dir poco peculiare.
L’importante è sapersi muovere, fare molta attenzione ai passi che si fanno e affidarsi alle persone giuste.
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